Si chiama “amante” perché la maggior parte delle volte lo fa per amore: che qualcuno lo dica.

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categoria: Attualità

Si chiama “amante” perché la maggior parte delle volte lo fa per amore: che qualcuno lo dica.

Parliamo di infedeltà con Gemma...

Se siete di quelli che accettano di fare il terzo per amore, vi sentirete la parte fragile di un trio. Forse lo siete. Se la coppia di cui il vostro amante fa parte cade, cade appunto in coppia, mentre voi cadendo cadrete da soli. (…) Ergo imparate a difendervi da voi, perché nessuno vi difenderà.



Elogio del tradimento, pag. 222, cap. 12, “Miscellanea di consigli utili”, “Consigli per avere a che fare con amanti accoppiati se siete voi le prede single”.

Il mondo è un posto piuttosto duro. Così tanto che non era di certo necessario che arrivassi io, nel 2011, a rivelarlo: chiunque ci viva se n’è già accorto da sé.

Le questioni sulle quali il mondo esercita la sua maggiore insensibilità sono spesso quelle sentimentali: soprattutto in quei posti nei quali la monogamia vige come unica regola possibile. È in questi luoghi culturali, difatti, che la figura dell’amante viene sempre disprezzata e condannata.

Un sinonimo di amante molto in voga in Italia, per esempio, non è tieni-in-piedi-famiglie, ciò che in realtà spesso fa suo malgrado la figura dell’amante, ma rovina-famiglie. Che l’amante invece serva frequentemente a permettere a mariti o a mogli ormai completamente disamorati del proprio coniuge di tenere in piedi la baracca familiare, grazie alla boccata d’aria e d’amore freschissimi che rappresenta, un po’ come una zeppa sotto un mobile dalla struttura ormai fatiscente, non lo vuol capire o ammettere quasi nessuno. Ed è strano, considerato che perfino San Tommaso d’Aquino disse che tolto il “pozzo nero”, “il palazzo diventerà un luogo maleodorante”. Il “pozzo nero” era la sessualità extraconiugale. Il “palazzo”, la famiglia ufficiale.

Gli ottusi censori della libertà amorosa non identificano la causa della rovina della famiglia nella famiglia stessa. Famiglia che invece non dev’essere così soddisfacente per colui o colei che essendone parte fondante si innamora tuttavia di un’altra persona. No: essi affibbiano la colpa della rovina della famiglia all’amante, alla persona di cui mater o pater familias a un certo punto si innamorano. Se questa non è illogicità di ragionamento, e perciò ottusità, mi si dica cos’è.

Bisognerebbe invece ricordare che quanto muove gli amanti innamorati verso un oggetto d’amore legato a un partner ufficiale è lo stesso sentimento che verso quello stesso oggetto d’amore in passato mosse chi poi ne diventò partner ufficiale. E che l’amore è sempre amore, non soltanto quando è esercitato da una moglie o da un marito, da una fidanzata o da un fidanzato.

Bisognerebbe poi aggiungere che è molto più facile essere i mariti o le mogli, i fidanzati o le fidanzate di qualcuno, piuttosto che gli amanti innamorati.

Bisognerebbe avere perciò comprensione per gli amanti innamorati, perché essi hanno avuto in “dono” il ruolo meno facile nel triangolo sentimentale. Comprensione e rispetto per coloro che amano infinitamente e nel nascondimento, vedendo poco e niente la creatura che ha ipnotizzato il loro cuore tanto da portarli ad accettare di avere soltanto le briciole segrete della vita e del tempo della persona amata.

Nel sonetto 116 Shakespeare scriveva dell’amore: it is an ever-fixed mark that looks on tempests and is never shaken (è un faro sempre fisso che sovrasta la tempesta e non vacilla mai). Forse soltanto un amante innamorato può capire veramente cosa vogliano dire queste parole: non vacillare mai di fronte alla tempesta di un amore vissuto senza alcuna garanzia di lieto finale vuol dire essere dotati di una capacità d’amore immensa, che pazienta, patisce e soffre, eppure va avanti.

Bisognerebbe perciò accettare e dire, una volta per tutte, che nel caso in cui l’amante sia tale per amore ci si trova di fronte alla struggente possibilità dell’esercizio veramente poco agevole di un sentimento. Perché bisogna essere forti, e non deboli, come invece pensano i più, per essere gli amanti. L’amante non ha diritti e non ha onori, mentre il partner ufficiale sì, li ha tutti e li esercita sovente con la mitezza di un despota. Spesso, poi, la sua sensazione di superiorità rispetto all’amante deriva soltanto dal fatto di essersi, in passato, legato ufficialmente ad una persona, ed in virtù di questo considerarla, col benestare della legge religiosa, civile e della morale comune, per sempre propria proprietà.

Un po’ poco, se l’amore è veramente amore, ovvero desiderio di felicità, e non di predominio, per l’oggetto d’amore.

Bisognerebbe spiegare queste cose a tutti coloro che, schiavi della feroce e ottusa morale comune, pedissequi ragionieri delle leggi civili e religiose, condannano a spada tratta il tradimento anche quando nasce dall’amore, e giudicano malissimo amanti che, se la sorte vorrà, saranno un giorno i nuovi compagni alla luce del sole di coloro che hanno tanto amato nel buio, e i genitori di nuove creature che altrimenti non sarebbero nate. Come per esempio accadde a Nicoletta Mantovani con Luciano Pavarotti.

Ma forse sarebbe inutile provare a spiegarlo, perché nonostante Shakespeare abbia anche scritto che no beast so fierce but knows some touch of pity (anche la bestia più feroce conosce un minimo di pietà.), in realtà la pietà appartiene agli amanti.

Gli stessi ai quali Patty Smith cantava, indimenticabilmente, in Because the night, che appartenesse la notte.

È notte mentre scrivo queste parole. Ed è da questa notte che voglio dire a tutti gli amanti innamorati di non mettere mai in dubbio la propria purezza. La purezza che è bianca, e chiara, ed è per questo motivo che rischiarerà sempre la notte anche quando fuori, negli occhi di chi non capirà mai perché mai vorrà capire, sarà buio.

Gemma Gaetani